È quello che sembra critico, ma gioca in casa.

Parla di tecnologia, ma non la tocca.

Parla di politica, ma non la subisce.

Parla di futuro, ma resta fermo.

Scrive bene. Sa citare. Sa ridere. Ma non si espone mai del tutto.

Sta lì per mettere le virgolette a tutto. Anche alla rabbia.

Il suo lavoro

Prende un’idea che scotta e la raffredda.

La mette in un testo ordinato, ironico, intelligente.

Così tu, lettore, ti senti sveglio. Ma non ti muovi.

Non è un venduto. È un filtro.

Un gestore della complessità che non vuole complicazioni.

Perché il sistema lo tiene vicino

Serve.

Serve per dare l’impressione che il dibattito sia vivo.

Serve per mettere in scena il dissenso senza mai perdere il controllo.

Serve per evitare che il conflitto diventi reale.

È l’opposizione che il potere si può permettere.

Il suo stile

Non grida. Non sputa. Non rompe.

Ti accompagna. Ti spiega. Ti tranquillizza.

Ti dice che sì, c’è un problema — ma anche, però, dobbiamo vedere, serve tempo.

Mentre altri creano, rischiano, saltano.

Lui commenta.

Cosa non fa mai

Non prende posizione netta.

Non parla con chi sta fuori.

Non si fa nemici veri.

Parla in un linguaggio che riconoscono quelli che hanno già tutto.

Non ha bisogno di cambiare il mondo. Gli basta descriverlo con parole giuste.

La verità

Chi cambia le cose oggi non ha tempo di scrivere bene.

Sbaglia i congiuntivi.

Parla con accento.

Ha le mani occupate.

Chi ha tutto il tempo per spiegare, spesso, è già stato assorbito.

Non è più fuori. Non è più pericoloso.

La domanda

Hai presente uno così?

Lo leggi, lo ascolti, magari sei d’accordo.

Ma poi ti chiedi: e adesso?

E niente.

Non succede niente.

Non ci serve un altro modo di dire le cose.

Ci serve una cosa da fare.

Vuoi scrivere?

Scrivi. Ma togli la firma.

Vuoi costruire?

Costruisci. Ma rendilo usabile da chi non ha accesso.

Vuoi criticare?

Critica. Ma non farne un’identità.

Il vero gesto radicale oggi è non voler essere riconosciuto.

Solo utile. Solo per un momento. Poi sparire.